Terapia sistemico relazionale: cos’è, quando nasce e come si diffonde

La terapia sistemico relazionale è un approccio che comincia a muovere i primi passi negli USA negli anni ‘50, grazie soprattutto agli esponenti della Scuola di Palo Alto e agli studiosi del Mental Research Institute.
Per vedere la sua diffusione in Italia dobbiamo aspettare gli anni ‘80, periodo in cui il metodo sistemico-relazionale comincia a essere utilizzato nei servizi di salute pubblica e applicato al trattamento dei disturbi alimentari e delle tossicodipendenze, oltre che nei percorsi terapeutici che coinvolgono bambini e adolescenti figli di genitori divorziati.

Terapia sistemico relazionale: i fondamenti teorici

I fondamenti teorici della terapia sistemico relazionale sono legati al lavoro di uno studioso esterno all’universo della psicologia e della psicoterapia. Si tratta dell’antropologo statunitense Gregory Bateson, uno dei primi a teorizzare il concetto di soggetto contestuale.
Secondo gli studi di Bateson, che hanno visto il loro culmine tra gli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso, la soggettività è il risultato di un percorso d’interazione con l’ambiente in cui si vive e con gli altri individui con cui si condividono le esperienze quotidiane.
La terapia sistemico-relazionale si pone quindi in netto contrasto con la psicoanalisi, approccio che vede il singolo soggetto come una monade, al cui mondo interno vanno ricondotti tutti gli avvenimenti della vita e il modo di rapportarsi agli altri.

Un altro aspetto fondativo essenziale del percorso sistemico-relazionale teorizzato da Bateson è l’importanza della comunicazione. Gli esponenti della Scuola di Palo Alto sono ricordati soprattutto per l’assioma “Non si può non comunicare”, che ricopre un ruolo fondamentale anche nell’ambito della terapia sistemico-relazionale.
Perché? Per il semplice fatto che ogni singolo gesto e decisione è da considerare come un messaggio inviato agli individui con cui si condivide il medesimo sistema. Il terapeuta è consapevole quindi che i comportamenti del paziente non sono da ricondurre a un disagio personale, ma a a una disfunzione legata al sistema relazionale di riferimento.

Il soggetto che entra nello studio del terapeuta sistemico relazionale non è mai solo: porta infatti con sé un sistema di relazioni estremamente complesso, l’influenza di un passato e specifici desideri sul futuro, che tengono conto per forza anche delle persone che sente più vicine e che hanno un ruolo nel suo vissuto.

Terapia sistemico relazionale: la natura della patologia

Da queste poche righe appare chiaro come la terapia sistemico-relazionale rappresenti un approccio che vede l’individuo come frutto delle sue esperienze relazionali, siano esse collocabili in ambito familiare, nella coppia o nel contesto di lavoro.
Partendo da qui si può arrivare a capire un’altra cosa, ossia che per il terapeuta sistemico-relazionale la patologia non deve essere per forza legata a un abuso o a un’esperienza traumatizzante, ma anche a una disfunzione o a poca chiarezza in una specifica situazione relazionale (un esempio tipico è quello della terapia familiare).
In questi casi è spesso il disagio di una singola persona all’interno del sistema a spingere a intraprendere un percorso terapeutico.

Il soggetto in questione è tecnicamente definito come paziente designato. Il paziente designato è la persona che, manifestando un disagio psicologico di qualsiasi tipo, si fa carico delle disfunzioni del sistema in cui vive, catalizzando le conseguenze di problematiche di natura affettiva o conflittuale (p.e. il figlio che somattizza le difficoltà di coppia dei genitori).

Il processo di designazione avviene in maniera inconsapevole. Nei contesti familiari spesso coinvolge il figlio su cui i genitori ripongono più aspettative e verso il quale manifestano una protezione nella maggior dei casi eccessiva. In queste situazioni il paziente designato è la persona persona più fragile e che ha meno potere all’interno delle dinamiche di gruppo.

Terapia sistemico relazionale: il compito del terapeuta

Il compito del terapeuta sistemico-relazionale che tratta un paziente designato è quello di guidarlo verso un’autonomia emotiva dal sistema relazionale disfunzionale, i cui membri – che non riconoscono la natura patologica della loro situazione – spesso si oppongono al percorso terapeutico, vedendo lo psicologo come un invasore che viola la loro vita personale.
Un esempio tipico è quello della famiglia che si oppone alla scelta di un suo componente che inizia un percorso terapeutico

Terapia sistemico-relazionale: l’approccio pratico

Come si struttura un percorso di terapia sistemico relazionale? A seconda della situazione del paziente designato, il terapeuta può scegliere se procedere con sedute individuali, di gruppo o alternate.
Le sedute di terapia sistemico-relazionale sono caratterizzate dalla presenza di più terapeuti: quello attivo dirige il colloquio, mentre gli altri – che possono essere 2/3 – svolgono il ruolo di supervisori.

Il percorso di terapia sistemico relazionale può protrarsi per massimo 2/3 anni e si articola in sedute che possono durare anche 2 ore.

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