Quel che c’è non è quel che vedi: il dismorfismo corporeo

In una società dell’immagine come la nostra, accade anche di ammalarsi nella ricerca dell’aspetto e della forma perfetta. È il caso del dismorfismo corporeo.

Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?

È così che la strega di Biancaneve interrogava in maniera ossessiva il proprio specchio fatato, alla ricerca di una conferma rispetto alla propria beltà.

In una società come quella occidentale, dove la ricerca verso l’aspetto e la forma perfetta diventa prioritaria, rimangono spesso in ombra coloro i quali faticano a convivere con il proprio aspetto a tal punto da farne una malattia, nel senso proprio del termine, conosciuta come dismorfismo corporeo.

Il Dismorfismo Corporeo: criteri diagnostici

Il disturbo denominato dismorfismo corporeo consiste in una preoccupazione morbosa rispetto ad alcune (talora presunte) imperfezioni fisiche.

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM IV) ha inserito questa patologia all’interno dei disturbi ossessivo-compulsivi, proprio per alcune caratteristiche specifiche.

I criteri diagnostici sono infatti i seguenti:

• Preoccupazione per uno o più difetti o imperfezioni percepiti nell’aspetto fisico che non sono osservabili o appaiono agli altri in modo lieve;

• A un certo punto, durante il decorso del disturbo, l’individuo ha messo in atto comportamenti ripetitivi (ad esempio, guardarsi allo specchio; curare eccessivamente il proprio aspetto; stuzzicarsi la pelle, ricercare rassicurazioni) o azioni mentali (ad esempio, confrontare il proprio aspetto fisico con quello degli altri) in risposta a preoccupazioni legate all’aspetto.

• La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti;

• La preoccupazione legata all’aspetto non è meglio giustificata da preoccupazioni legate al grasso corporeo o al peso in un individuo, i cui sintomi soddisfano i criteri diagnostici per un disturbo alimentare.

Sentirsi brutti

La distinzione tra normalità e patologia la fa dunque, come sempre, il grado di compromissione sociale che il disturbo causa. Inoltre i comportamenti ossessivi denotano l’aspetto più caratteristico della patologia, ovvero la ricerca costante e incessante di conferme rispetto alla presenza o meno di quel difetto fisico, di quel “sentirsi brutti”. La diffusione di questo disturbo oscilla da 0,7 a 2,4 %. Una percentuale dunque significativa, troppo spesso sottovalutata. L’età dell’adolescenza è quella dove solitamente insorge il problema, colpendo maggiormente le donne.

Le preoccupazioni rispetto a come ci si percepisce possono variare dal sentirsi poco desiderabili a sentirsi dei veri e propri mostri. I difetti fisici maggiormente registrati riguardano la pelle, rughe, macchie, acne, cicatrici; significativa, talvolta, anche la preoccupazione verso i capelli o i peli, temendone il diradamento. Nessuna parte del corpo può essere realmente esclusa. L’ossessione verso tali imperfezioni – sempre reali o presunte che siano – risulta intrusiva e frequente, sottraendo addirittura ore a chi ne soffre. Nel ciclo ossessivo-compulsivo i pensieri scatenano una serie di comportamenti di risposta, come una cura smisurata verso il proprio corpo o l’eccessivo esercizio fisico, che però non contribuiscono ad alleviare ansia, frustrazione e bassa autostima.

Fattori ambientali

Quanto i fattori ambientali possono essere considerati parte in causa nell’insorgenza del disturbo?

Ad una prima analisi superficiale si potrebbe pensare che si tratti di una malattia contemporanea, frutto di dogmi e di imposizioni sociali. Se così fosse, dovrebbe essere presente solo in alcune culture, come la nostra, e totalmente assente in altre. Non è così.

Trattandosi di un disturbo riconosciuto in tutto il mondo e in diverse culture è difficile pensare che vi sia una reale correlazione tra stereotipi di bellezza e realtà.

Nell’origine e sviluppo del disturbi entra in gioco, come sempre, la doppia componente: dna e ambiente. È stata rilevata una continuità genetica, ad esempio, tra soggetti con Disturbo di dismorfismo corporeo e parenti con un Disturbo ossessivo compulsivo (DOC). Inoltre, tra coloro che soffrono di questa psicopatologia, è presente un’alta percentuale di storie familiari con abuso, maltrattamento e trascuratezza.

Avendo un tasso suicidario elevato, soprattutto in età adolescenziale, è bene osservare e non sottovalutare comportamenti anomali, soprattutto quando sono uniti ad un alto tasso di ansia e ad un ritiro sociale. Il coinvolgimento emotivo di questi soggetti rispetto alla problematica è talmente invadente da portare a stati di preoccupazioni invalidanti.

Come intervenire

Per intervenire al meglio è importante dunque rivolgersi ad un equipe di specialisti, come neuropsichiatra e psicologo, i quali possono impostare un lavoro di rete efficace e necessario per aiutare il paziente a gestire al meglio il disturbo ed accettare il proprio aspetto.

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