Diffussione di responsabilità: la mente del branco nel fenomeno del bullismo

Il termine bullismo è ormai conosciuto e riconosciuto dalla maggior parte degli italiani. Con bullismo si intendono tutte quelle prepotenze fisiche, verbali e psicologiche, rivolte verso un minore da parte di uno o più coetanei o comunque da parte di ragazzi/e in contesto scolastico e non solo.

Bullismo: alcuni dati

Secondo i dati del Telefono Azzurro, il fenomeno del bullismo è in crescita. Se nel 2012 le chiamate ricevute riguardavano il bullismo nell’8,4% dei casi, due anni dopo la percentuale è purtroppo salita al 14,6%.

Secondo una recente indagine condotta da Telefono Azzurro e DoxaKids su 1500 studenti dagli 11 ai 19 anni, il 34,7% degli adolescenti ammette di aver osservato o di aver subito episodi di bullismo. Nella maggior parte dei casi queste vicende sono accadute a scuola, in misura minore si sono registrati in altri ambienti, come quello sportivo.

Di fronte a questi dati non si può negare una certa preoccupazione. Spesso il bullismo viene analizzato come se si trattasse di episodi che coinvolgono un gruppo ristretto di persone: bullo e vittima in primis, in secondo luogo coloro che osservano, definiti spesso come “complici” del bullo.

Quasi come se si trattasse di un’isola, non ci si rende conto che il problema si espande a macchia d’olio su tante altre figure, nonché sulla società contemporanea.

Se bulli e vittime sono i protagonisti ufficiali della vicenda, cosa succede se cambiamo punto di vista e proviamo ad analizzare anche coloro che partecipano indirettamente, contribuendo al successo delle prepotenze?

La diffusione di responsabilità

Il bullo, infatti, agisce solo quando si sente rinforzato da un gruppo. Preso singolarmente, probabilmente, nessun bullo metterebbe in atto le stesse angherie. Perché il gruppo funziona diversamente dal singolo?

Se considerassimo tutte le figure coinvolte in episodi di bullismo come tanti centri concentrici vedremmo al centro il bullo, contenuto in un cerchio più grande dove si trova il gruppo, a loro volta contenuto nell’ambiente scuola (docenti), famiglia (genitori) e quindi nella società.

C’è un meccanismo psicologico che accomuna ogni singolo membro nella partecipazione, diretta o indiretta, ad atti di bullismo. Si chiama diffusione di responsabilità.

Con questo termine si intende la tendenza ad attribuirsi meno responsabilità per un’azione quando anche altre persone sono presenti. Perché si parla di “diffusione”? Perché l’individuo pensa che altri abbiano già preso una decisione o si facciano carico di tale responsabilità. In psicologia sociale questo fenomeno viene studiato a partire dagli anni ’50, ed è spesso associato a episodi in cui persone che osservano situazioni di emergenza (violenza, incidenti stradali, etc.) non si assumono l’incombenza di chiamare i soccorsi poiché pensano che qualcun altro l’abbia già fatto.

Nell’àmbito del bullismo la diffusione di responsabilità è riconducibile alla mente del branco, la quale diventa una sola. Si perde così la propria individualità. Non solo il bullo, ma anche coloro che osservano, coloro che sanno e sono complici. La maggior parte di essi, se interrogati rispetto ai fatti, ribadiranno probabilmente di non aver fatto nulla, e daranno la colpa al coetaneo che ha dato inizio alle angherie.

Come intervenire

La diffusione di responsabilità rischia però di ripercuotersi anche nell’ambiente familiare e scolastico, nel momento in cui si sottovaluta il problema e si pensa che si tratti “solo di un alunno” o “di un compagno di scuola di mio figlio, ma non di mio figlio”.

Per tale ragione è importante che la cultura cambi e che si inizi a considerare il bullismo come un fenomeno eterogeneo, che coinvolge tutti in modo diretto o indiretto.

L’educazione è la prima risorsa

Insegnare ai propri figli l’importanza di assumersi le proprie responsabilità è la prima risposta efficacie contro il bullismo. Talvolta si pensa di proteggere i propri figli sostituendosi a loro in situazioni che pensiamo non riescano a gestire. Ma questo rischia di essere controproducente. Un ragazzo che assiste a fenomeni di violenza, sia fisica che verbale, deve imparare a distaccarsi dalla mente del gruppo e comprendere che, nel momento in cui assiste, collude nella situazione.

Istituire Sportelli d’ascolto psicologici nelle scuole

Avere un professionista all’interno delle mura scolastiche può garantire un intervento immediato e un aiuto sia per gli alunni che per i docenti.

Lavorare sulla prevenzione

Se è importante comunicare apertamente in famiglia rispetto al fenomeno, evidenziando che non è solo il bullo il protagonista della situazione, ma indirettamente anche coloro che osservano, è altrettanto fondamentale che ci sia una comunicazione aperta e diretta anche negli altri ambienti frequentati dai ragazzi, come le scuole e i centri sportivi.

Ricordiamoci che se non siamo noi i primi a cambiare il punto di vista, non potremo aiutare i nostri figli a farlo.

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