L’importanza del ruolo genitoriale nell’accudimento dei figli ha da sempre stimolato la ricerca e lo studio nell’ambito della psicologia dello sviluppo. Una delle teorie più note in quest’ambito risulta essere la teoria dell’attaccamento di John Bowlby.
La relazione mamma-bambino
Secondo lo psicologo britannico, la relazione mamma-bambino risulta fondamentale per consentire sia le cure necessarie per un neonato, che per garantire al minore la capacità di crearsi dei modelli affettivi sicuri e adeguati anche da adulto. Un attaccamento sicuro prevede comunque dei momenti di difficoltà, tappe inevitabili e spesso temute dai genitori, che con il passare del tempo potrebbero sfociare in un vero e proprio disturbo.
Per approfondire: Il disturbo dell’attaccamento nell’età evolutiva
Ansia da separazione
Intorno agli 8 mesi i bambini iniziano a riconoscere i caregiver, ovvero gli adulti di riferimento che li accudiscono. Iniziano così i pianti nel momento della separazione dalla mamma e dalle persone di riferimento, che a quest’età vengono riconosciute. Tali stati di ansia da separazione necessitano di un graduale “svezzamento”: solitamente accade che i genitori abituino lentamente i bambini a trascorrere del tempo senza di loro e ad imparare a passare dei momenti con estranei.
Una situazione analoga è normale e si registra anche intorno ai 18-24 mesi, età che corrisponde all’esplorazione degli ambienti. Capita quindi frequentemente che il bambino assecondi la sua curiosità di conoscere un luogo, come ad esempio le stanze della casa, per poi cercare nuovamente il genitore. È una vera propria alternanza tra allontanamento e ricerca del caregiver del tutto adeguata alla fase evolutiva del bambino.
Quando l’ansia da separazione diventa un vero e proprio disturbo?
Il confine tra adeguatezza e anomalia, secondo i manuali diagnostici, è segnato dall’eccessiva paura riguardante la separazione da casa o dalle figure di attaccamento. Tale ansia va al di là di quella che ci si potrebbe aspettare in base allo stadio di sviluppo del bambino. Il disturbo provoca sia una preoccupazione eccessiva nel momento in cui si prevede o si sperimenta la separazione da casa o dalle principali figure di attaccamento, sia la comparsa di pensieri ricorsivi catastrofici o incubi tali da non poter loro consentire di separarsi dai genitori. Unitamente a ciò si possono presentare anche somatizzazioni del disturbo, con la comparsa di mal di testa, nausea, mal di stomaco nel momento in cui si sperimenta o ci si prepara alla separazione.
Questi sintomi devono avere una durata di almeno 4 settimane nei bambini e negli adolescenti per poter essere considerati anomali.
Cosa rende l’ansia da separazione un disturbo? Oltre ai criteri sopraindicati gioca un ruolo fondamentale l’invasività con cui questi sintomi sono presenti. Se sono di tale gravità da incidere significativamente nella quotidianità, compromettendo il funzionamento in ambito sociale, siamo in presenza del vero e proprio disturbo.
Un bambino con un disturbo d’ansia non è un bambino timido o reticente di fronte a situazioni o persone estranee, è un bambino che soffre. Pertanto potrà capitare di sentir esternare le preoccupazioni con frasi come: “E se succedesse qualcosa a mamma o papà?” “Se fossi rapito?” “Se mi dimenticassero a scuola?”. Potrebbe succedere che il minore si rifiuti di dormire separato dai genitori, rinunciando a occasioni sociali utili per la crescita e per il rafforzamento delle relazioni con i pari, come la partecipazione a gite scolastiche o, più semplicemente, il pernottamento a casa di un amico. In situazioni più gravi emerge una difficoltà sintomatica anche nel rimanere da solo in una stanza, nonché il rifiuto di andare a scuola.
Come affrontare la difficoltà
Si tratta di un problema eterogeneo che coinvolge quindi non solo la famiglia ma anche la scuola. Quali sono pertanto alcune indicazioni utili per poter affrontare la difficoltà?
- In primo luogo è importante non sminuire il problema. Se priviamo il bambino di rassicurazioni manchiamo di empatia nei suoi confronti e non facciamo altro che aumentare l’ansia. Cerchiamo di rassicurarlo spiegando, nelle modalità adeguate in base all’età, che cosa sia l’ansia. Rinforziamo inoltre il bambino rispetto alla sua autonomia ricordando episodi in cui, di fatto, la separazione c’è stata e non è successo nulla.
- Non guardiamo inoltre il problema con gli occhi dell’adulto, ma immedesimiamoci nel loro stato d’animo. L’empatia è la chiave per comprendere realmente le emozioni che in quel momento il bambino può provare. Più siamo in sintonia con questi sentimenti, maggiormente riusciremo a immedesimarci nella situazione e a fornire dei consigli utili.
- Cerchiamo di rendere la quotidianità del bambino il più possibile abitudinaria e prevedibile. Vivere all’interno di una routine in cui le attività vengono pianificate e comunicate in anticipo può aiutare a contenere emotivamente il bambino. Nel caso in cui dovesse presentarsi un imprevisto è bene preparare il minore con il maggior anticipo possibile. La prevedibilità è fonte di rassicurazione.
- Rinforziamo le sicurezze del bambino, offrendogli la possibilità di scegliere le attività da fare, senza imporgliele, premiando ogni minimo traguardo raggiunto. La gratificazione può aiutare il bambino a trovare la motivazione per superare le paure.
Come dovrebbe comportarsi la scuola
Qualora il problema si generalizzasse anche a scuola, diventa fondamentale adeguarsi da subito ai tempi del bambino. Non forziamolo a fare ciò che per lui è fonte di paura, accompagniamolo gradualmente. In questo caso la relazione scuola-famiglia diventa fondamentale anche a livello organizzativo, al fine di stabilire un “piano di rientro”, con fasce orarie di frequentazione della classe che possono essere modificate in base ai progressi del bambino.
Anche nel contesto scolastico, la prevedibilità delle attività e un supporto nella gestione dei sentimenti e della relazione con i pari assume un ruolo rilevante, pertanto sarà indispensabile per il docente porre una particolare attenzione all’alunno diventando, dove necessario, una figura “ponte” tra lui e i compagni.
Quando rivolgersi a un professionista
Ricordiamo che fino ai sei anni separarsi dai genitori può rappresentare uno scoglio arduo da superare, difficoltà che può manifestarsi con pianti e comportamenti che esprimono forte disagio. Riponete quindi attenzione ai “campanelli d’allarme” riportati precedentemente, primo fra tutti il ritiro sociale.
Un timore dei genitori risiede nella durata del disturbo oltre alle conseguenze. Con il supporto di un professionista si possono superare le difficoltà del disturbo d’ansia da separazione. Un’accurata valutazione consente di inquadrare precisamente il disturbo, differenziandolo da altre possibili patologie simili.
Solitamente una terapia cognitivo-comportamentale risulta l’approccio più adatto ad affrontare il problema, e coinvolgerà non solo il bambino, ma anche i genitori. Ai caregiver, infatti, potrebbe essere proposto un Parent Training, ovvero una condivisione con i genitori di strategie utili per affrontare al meglio le situazioni problematiche.
L’osservazione e la valutazione della gravità dei sintomi diventa fondamentale per una presa in carico e, come sempre, i genitori giocano anche qui un ruolo importante.